I LIBRI DELLA CIVETTA
Florilegio per Carmelo Bene
Andrea Valcalda
Ed. L’obliquo
euro 20,00
Un bel volume, curato in modo ineccepibile, uno studio rigoroso e pensato, una strenna per tutti gli appassionati non solo del tema trattato, ma anche del bel libro come manufatto: questo, in estrema sintesi, è Florilegio per Carmelo Bene di Andrea Valcalda, studioso dell’immagine, con la quale lavora e riflette su temi propri dell’arte e della linguistica. Questo lavoro, che segue e completa le due istallazioni del 2002 (Roma e Bangkok), è composto da dieci elaborazioni di fotogrammi tratti dall’opera cinematografica di Carmelo Bene, accompagnati da frammenti presi dai variegati testi di Carmelo Bene, James Joyce, Oscar Wilde, Thomas Stearns Eliot, Rainer Maria Rilke. Valcalda apre il suo saggio, che chiude il volume, con una dichiarazione che mi trova d’accordo: “Potrei dire di aver fatto a ritroso, inconsapevolmente, il percorso dello spettatore-tipo evocato da Jean-Paul Manganaro, secondo il quale, visto Carmelo Bene, non è più possibile vedere o ascoltare altri attori senza sorridere (quel sorridere, aggiungo, che affiora talvolta per reazione a certe situazioni di imbarazzo)”. Ed è così, non c’è che dire e non c’è ironia e bocche storte o stufe di mangiar ‘sta minestra che tengano! C. B. è il teatro italiano del ‘900, non c’è Vittorio Gassman e neppure Pirandello (Nobel per la letteratura nel 1934), Fo (Nobel per la letteratura nel 1997) o Albertazzi e via di seguito che possano reggere il confronto. Il teatro in Italia, dal secondo dopo guerra in poi, è solo C. B. Ma la questione si complica, come accade per Pasolini, perché, come il grande regista romano, anche C. B. non si può semplicemente schiacciare in una casella. L’avventura cinematografica dei suoi 6 lungometraggi (più qualche corto ormai introvabile che però il Cinema Carbone di Mantova è riuscito a scovare in qualche sudicio magazzino e proiettare nella recente retrospettiva dedicata all’attore salentino… complimenti!) è un unicum nel cinema italiano che vanta citazioni in tutti i saggi che si occupino in maniera seria dell’immagine e del cinema. Da qui parte la ricerca di Valcalda e la sua riflessione è semplice, perché frutto dell’osservazione (l’unico strumento a disposizione del critico): che rapporto c’è fra C. B. e i fiori? In tutte le sue opere e messe in scena v’è un’attenzione maniacale per i fiori tanto che nel 2000, tale passione, è resa nuovamente visibile nel titolo del monumentale poema ‘L mal de’ fiori. Le immagini costruite da C. B., e non solo quelle dei suoi film, sono strutturate come dei fiori. È necessaria una cura certosina e paziente per farle crescere (si veda la teoria di S. Beckett) e allo stesso tempo la conoscenza di un linguaggio e di una pratica che ci permetta di coglierne fino in fondo la ricchezza nascosta. La cura della loro composizione e l’attenzione ai dettagli che caratterizzava l’operato, nel campo dell’immagine, di C. B. sono richiesti al fruitore e, come accade con i fiori, o li si conosce o si rischian gaffe terribili! Ma la bellezza del fiore ha in sé due peculiarità che sono la base dell’estetica di C. B.: la singolarità (è sempre bella una rosa, mai la rosa in generale, scrive Kant nella terza Critica) e il passar del tempo e quindi lo sfiorire. Di conseguenza non si può che goder nell’immediato della bellezza dei fiori e della bellezza delle immagini e dei pensieri di questo volume ben curato, da avere in casa al posto di un profumato vaso di fiori. Buona lettura.
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