INCONTRO RAVVICINATO DEL TERZO TIPO

di Giovanni Caiola / underdog1982@libero.it

Si fa presto a dire blues! Il dramma è che negli ultimi tempi quella parolina è stata associata a troppi tizi che con essa nulla hanno a che fare: l’esempio più sconfortante è quello dell’Adelmo Fornaciari in arte Zucchero che, da cantante da balera di terz’ordine qual è in realtà, i media spacciano da anni come il Re del Blues. Ma anche in passato non era così facile parlare di blues, indicare cosa precisamente si intendesse con tale termine. Un caso eclatante è quello di Blind Willie Johnson, da molti considerato come uno fra i più grandi bluesmen di sempre. Da molti, ma non da lui. A sentire la moglie Angeline, difatti, «Willie non conosceva alcuna canzone blues e odiava esser considerato un bluesman perché lui era solo un musicista gospel». E quel “solo” non l’ha detto certo per sminuire l’arte del marito, anzi tutt’altro era l’intento: se si vanno infatti a leggere i titoli e i testi dei brani di Johnson si scopre che sono tutti riferiti ad episodi biblici, quando non sono esplicite preghiere rivolte dall’autore al Signore dei Cieli perché ne perdoni i molti peccati commessi. Sembrerebbe aver ragione dunque la povera Angeline a sostenere che col blues l’amato maritino non avesse nulla a che fare, ma poi ascolti le registrazioni e cambi di nuovo idea. Ascoltando quella voce incredibile che sorge dalle più oscure profondità della terra per andare ad accarezzar le stelle accompagnata solo da una chitarra slide, pare che la crosta terrestre ti si apra sotto i piedi e puzza di zolfo e frastuono di zoccoli invadano l’aria. Oh sì sì sì, è proprio blues questo! E di quello buono!! Blind Willie Johnson si rivolge sì a Dio, ma usando i ritornelli del diavolo!!! Quindi come la mettiamo? Gospel o blues? Delego a voi la decisione, raccomandandovi con tutta l’anima di dare un ascolto al The Complete contenente tutte le 30 canzoni (curioso: solo una in più di quelle donateci da quell’altro Johnson, il leggendario ed immenso Robert) che quest’uomo tormentato ha lasciato dietro di sé come testimonianza del suo breve passaggio su questa Terra. Nato in Texas nel 1902, è difatti morto di polmonite a quarantasette anni dopo aver dormito, con la moglie, un’intera settimana all’addiaccio coperto di giornali, dopo l’incendio nel quale era bruciata la sua casa. Ma ciò che mai di lui potrà morire è la musica: Ry Cooder prima ha definito Dark Was The Night «il brano musicale più trascendentale di tutta l’arte americana» e poi lo ha magistralmente dilatato per farne l’ossatura dell’epocale colonna sonora di Paris, Texas; Eric Clapton è convinto che It’s Nobody’s Fault But Mine sia «la più grande esecuzione di slide mai registrata»; nel 1977 l’astronomo Carl Sagan mandò nello spazio, su Voyager 1, assieme ad altre (poche) musiche anche la registrazione di Dark Was The Night e chissà che qualcuno che mai ha abitato questa nostra Terra la possa un giorno ascoltare. Dovesse accadere, son sicuro se ne innamorerebbe al primo ascolto.
[a M.R.R.]


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